21 novembre 2013

Zvonimir Boban, le lacrime di un capo zingaro


Un vero capo zingaro non dovrebbe piangere. Mai.

Deve nascondere i suoi sentimenti, non dare a vedere alla sua gente la gioia o il dolore. Non che non gli sia concesso avere emozioni. Questo no. Non gli e' concesso di manifestarle. Di mostrare un segno, anche minimo di debolezza. L'ardore del guerriero deve sempre avere la prevalenza su tutto. Sempre. Tranne che in un caso: se a 20 anni inneschi da solo una guerra contro il mondo e a 30 la vinci. Allora le lacrime si possono perdonare.

Il capo zingaro di cui stiamo parlando aveva due dei piedi migliori da cui i campi da calcio si siano fatti calpestare. Quei piedi appartenevano a Zvonimir Boban. E la guerra stavolta non è una metafora sportiva, c'e' stata davvero e non ha guardato in faccia a nessuno. Per anni ha ammazzato migliaia di persone nella ex Jugoslavia, ha distrutto case, strade, citta'. Ha messo fratello contro fratello, ha risvegliato un odio mai sopito e un orgoglio pericolosamente annientato per molti anni.

Dopo un'infanzia da predestinato Boban a vent'anni è già il capitano della Dinamo Zagabria. Di più, è già un capo. Perché il pallone, i compagni e gli avversari obbediscono ai suoi ordini anche quando lui non li impartisce. Perché i tifosi della Dinamo Zagabria sanno che in questo ragazzo dagli occhi tristi possono trovare uno di loro. Un croato vero, che non indulge alle simpatie nazionaliste della curva, vi aderisce con convinzione.

Perché quel capitano di vent'anni ha un sogno che vuole realizzare più di ogni altra cosa. Tornare un giorno nella sua città, capitale della Croazia, a festeggiare un successo della sua nazionale. E' una ragione di vita o di morte. Il calcio c'entra relativamente: è solo l'arma di cui la natura l'ha dotato.

Maggio 1990. Fra qualche mese la nazionale jugoslava parteciperà ai campionati del mondo di calcio che si svolgono in Italia. Dopo l'importante qualificazione, la squadra di Osim è attesa ad un ruolo di non secondo piano alla rassegna continentale dall'altra parte dell’Adriatico. Zvone Boban, punta di diamante dell'Under 21, è anche un titolare fisso della nazionale balcanica. Ma quei mondiali che sarebbero stati i primi della sua carriera li vedrà solamente in televisione.

Il 13 maggio allo stadio Maksimir di Zagabria si gioca la 33esima e penultima giornata del campionato jugoslavo. Di fronte ci sono le due squadre più importanti del calcio balcanico. Da una parte c'è la Stella Rossa di Belgrado, la squadra che, bene o male, si identifica con il governo centrale. Dall'altra la Dinamo Zagabria. Quella partita però non si giocherà mai. Gli ultras nazionalisti della Dinamo Zagabria intonano cori contrari al regime e brandiscono i vessilli fascisti degli ustascia di Pavelic. Dall’altra parte i tifosi belgradesi cominciano a devastare lo stadio di Zagabria, distruggendo i tabelloni pubblicitari e le strutture dello stadio. Da una parte e dall’altra cominciano a volare i seggiolini e le pietre. I poliziotti cercano di ristabilire la calma, ma sono pochi e tutti serbi e cominciano a caricare gli ultras della Dinamo Zagabria.

Boban si sente investito delle sue responsabilità e colpisce con un calcione volante un poliziotto che stava manganellando un tifoso croato. Le immagini, riprese dalla televisione jugoslava, fanno il giro del mondo. In tarda serata diverse centinaia di 'Blue Boys', gli ultras della Dinamo Zagabria, si riuniscono nella piazza centrale della città cantando l'inno nazionale della Croazia e inneggiando a Franjo Tudjman, il capo del partito di opposizione Comunità Democratica Croata che ha vinto largamente le elezioni. Fra loro il capitano Zvone Boban.

La Fifa lo squalifica per nove mesi, ma l'Italia si innamora di quel ragazzino dai piedi d'oro e se lo compra. Dopo un anno di apprendistato al Bari approda al Milan: in un decennio, quel decennio in cui i suoi coetanei si scannano nel suo paese e ai quali Boban non smetterà di pensare nemmeno un minuto, vince quattro scudetti e una Champions League. In squadra con lui c'è Dejan Savicevic: ''se la natura non ci avesse dato i piedi buoni - disse nel 1994 - saremmo su fronti opposti a spararci''.

L'anno dopo, a Dayton, si firmano gli accordi per la pace. La Croazia può finalmente giocare come nazionale e Boban la guida ai mondiali francesi del 1998. In panchina ritrova Blazevic, lo stesso che gli aveva affidato la fascia di capitano da ragazzino. Dopo un girone eliminatorio positivo ma non esaltante la Croazia approda agli ottavi dove supera la Romania con un rigore di Suker.

Il 4 luglio la sfida nei quarti e' con la Germania: a fine primo tempo Jarni lascia partire una bordata che trafigge il portiere tedesco: 1-0 e un sogno che si comincia a materializzare. Berti Vogts, allenatore della Germania, tenta il tutto per tutto: schiera in campo 4 punte, ma la Croazia, con la sapiente regia di Zvone supportato ai fianchi da Jarni e Stanic, prima del triplice fischio finale colpisce altre due volte, con Vlaovic e con Suker. Per la Germania è la disfatta, per la Croazia il trionfo: la semifinale, il tetto del mondo, per una neonata nazione di appena 4 milioni di abitanti.

In quel giorno di luglio a Lione si verifica così una di quelle strane coincidenze del destino per cui un capo zingaro ha il diritto di piangere. ''A pensarci bene non è il 3-0 sulla Germania, è una cosa ancora diversa - ha cercato di spiegare al termine della partita, in lacrime, ai giornalisti italiani - voi non potete capire che significato abbia questa vittoria per noi. E' molto di più di una partita. E’ una specie di liberazione, di definitiva conquista della libertà. Io lo so cosa significa. Ma lo sapete voi che quando giocavo non potevo neppure parlare croato, perché era proibito, era...era...è troppo bello'', e giù un sospirone solcato di lacrime.

Per un attimo perde la fermezza di quel suo sguardo chiaro e distoglie gli occhi. Non sa dire cosa gli si agita nel cuore. E per la prima volta si commuove per una partita di calcio, lui che ne ha fatte centinaia. Poi perde i sensi: mentre i suoi compagni festeggiano lui va giu', come una pera cotta. In semifinale la Croazia perde con la Francia, poi campione del mondo, quindi supera l'Olanda nella finalina e si piazza terza: tutto il mondo conosce e ammira la Croazia.

In quel giorno di luglio, a Lione, la Germania voleva la semifinale. La Croazia voleva uscire dagli spogliatoi con una maglietta bianca con su scritto 'Proud to be croat'. E queste cose di solito fanno la differenza.