20 maggio 2017

Cosa sta succedendo nella politica italiana

Ho alcuni amici che ogni tanto mi chiedono un po’ smarriti cosa succede nella politica italiana. Lo fanno perché, pur essendo interessati alla questione e convinti che occuparsi di politica sia un dovere di ogni cittadino, fanno un po’ fatica a seguire tutto quello che succede sui giornali, sul web e sulla tv. Il racconto della politica è infatti vorticoso. Si urla molto, spesso rincorrendo polemiche delle quali, dopo qualche giorno non rimane niente. E’ facile essere confusi.
Ogni settimana, quindi, (tendenzialmente il sabato mattina, ma non è una regola d’oro) pubblicherò un post per fare un riassunto, il punto della situazione di quello che è successo in settimana, per seguire i temi di lungo periodo e cercare di segnalare quali sono le questioni da tenere d’occhio.
Lo faccio per i miei amici, ma lo faccio anche per me stesso, visto che occuparmi della politica italiana fa parte del mio lavoro. Mettere in fila e tenere traccia delle questioni importanti mi aiuterà a seguire meglio quello che succederà in questi mesi che ci porteranno alle elezioni politiche.
Mi sembra quasi superfluo ricordarlo, ma lo ricordo lo stesso: non voglio convincere nessuno a votare per nessuno. Non è il mio lavoro e non mi interessa farlo. Cercherò solo di mettere chi mi legge nelle condizioni di farsi un’idea più completa possibile e di andare a votare (o non andarci) con consapevolezza.
Cominciamo dall’inizio.
 Quando si vota
Se tutto va come deve andare si vota nei primi mesi del 2018, verosimilmente in marzo. Questo perché nel 2013 si è votato il 24 e 25 febbraio e la legislatura dura cinque anni. Quella, quindi, sarebbe la scadenza naturale.
Le elezioni anticipate sono naturalmente possibili, ma allo stato non molto probabili. Ogni tanto si parla di ottobre. Matteo Renzi, che è il segretario del Pd e quindi il capo del partito con una rappresentanza più larga in Parlamento e quindi decisivo per la sopravvivenza di qualsiasi governo, ha pubblicamente detto in più occasioni che considera il 2018 come data per le elezioni, anche se ciclicamente c’è chi sostiene che vorrebbe anticipare il voto.
Per andare a elezioni anticipate però, dovrebbero succedere, in tempi abbastanza rapidi, tutta una serie di cose: il governo Gentiloni dovrebbe vedersi mancare la maggioranza in parlamento, quindi il Pd dovrebbe ritirargli la fiducia o dovrebbe farlo una delle altre forze politiche che lo sostengono che però hanno interesse ad andare avanti il più possibile. Dovrebbe esserci, cioè, quello che viene chiamato “incidente” parlamentare, ovvero lo sfaldamento della maggioranza su un tema specifico. Ma anche questo non basterebbe: se cadesse il governo, infatti, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, prima di sciogliere le camere dovrebbe verificare che non esistono altre maggioranze possibili e non esiste altra possibilità se non il voto anticipato. Senza contare che Mattarella non sembra particolarmente propenso per questa possibilità. Se queste cose non succedono entro la fine di luglio (poi c’è la pausa estiva, poi, in autunno, c’è da approvare la manovra economica) diventerà quasi scontato che si vada a votare nei primi mesi del 2018.
Senza contare che c’è da approvare una legge elettorale: Mattarella lo ha detto chiaro e tondo in più occasioni, senza che il Parlamento faccia una legge elettorale armonica fra Camera e Senato non si può andare a votare.

Perché la Legge elettorale è così importante

In questi ultimi anni abbiamo sentito alcuni leader politici dire che la legge elettorale non è poi così importante, è una cosa che non interessa agli italiani. E’ vero che una questione molto tecnica e spesso difficile da capire, ma è fondamentale per tutto il resto. Quindi chi lo dice, lo dice sapendo di dire una stupidaggine.
Naturalmente una legge elettorale migliore in senso assoluto non esiste: ogni modello ha dei pro e dei contro. Basta essere poi preparati a gestire gli effetti che queste producono sulla formazione dei governi. Per comprendere questo dibattito molto tecnico bisogna tener presente una cosa: ogni forza politica tira l’acqua al suo mulino, cerca cioè di promuovere la legge elettorale migliore per i propri interessi pensando soprattutto alle prossime elezioni. Sarebbe buona regola, infatti, non occuparsi di questa materia alla fine di una legislatura per non essere appunto troppo condizionati dagli interessi contingenti. Senza contare che i parlamentari, ovvero coloro che saranno chiamati ad approvarla, sanno benissimo che da come verrà scritta questa legge dipende in gran parte la loro possibilità di ritornare in parlamento. Ma ci siamo ritrovati qui e quindi non se ne può fare a meno.
Dopo che la sentenza della Corte costituzionale che smontato l’Italicum promosso dal governo Renzi, abbiamo di fatto una legge assolutamente proporzionale, ma diversa fra Camera e Senato. La necessità di cambiare questo sistema è più o meno condivisa da tutti e molto caldeggiata dal presidente della Repubblica. Sul come, però, ci sono interessi molto contrastanti, praticamente opposti. Trovare un sistema che vada bene a tutti sarà praticamente impossibile.
La novità di questa settimana è che c’è un testo base su cui discutere, promosso dal Pd. E’ una via di mezzo fra un proporzionale e un maggioritario: metà dei parlamentari saranno eletti con dei collegi uninominali (dove chi prende un voto in più degli altri entra in parlamento) e l’altra metà è eletta in modo proporzionale con dei listini bloccati. E’ per certi versi simile al Mattarellum (con cui abbiamo votato nel ’94, ’96 e ’01), ma ha un’impronta decisamente più proporzionale.  Sarà depositata martedì ed entro la prossima settimana ci sarà tempo per presentare gli emendamenti, ovvero le possibili modifiche. Poi la commissione la approverà e arriverà alla Camera il 5 giugno per essere votata dall’Aula. Questa legge ha buone chance di passare alle Camera: se dovesse arrivare così al Senato, lì inizieranno i problemi visto che la maggioranza è molto più risicata.
Secondo i primi posizionamenti questa legge è sostenuta dal Pd, dalla Lega e da un pezzo del centrodestra, fatto per lo più da transfughi di Forza Italia, come il senatore Denis Verdini.
E’ osteggiata – in alcuni casi ferocemente osteggiata – da Forza Italia, Movimento 5 Stelle, Mdp Articolo 1 (Bersani e gli scissionisti del Pd) e Sinistra Italiana e da Area Popolare, ovvero il partito che fa riferimento ad Angelino Alfano e che è l’alleato principale del Pd nel sostegno al governo. Ognuno di questi partiti ha un motivo diverso per essere contrario, anche perché una legge elettorale è un’architettura molto complessa e fatta di moltissimi dettagli: entrano in gioco infatti il modo in cui si eleggono i parlamentari, la possibilità di formare coalizioni prima del voto in modo da non trovarsi a formare maggioranze di governo strane in parlamento e le soglie di sbarramento, cioè il numero minimo di voti che un partito deve prendere per poter eleggere dei deputati e dei senatori. Senza contare che il fatto che due partiti che sostengono il governo Gentiloni (Area Popolare e Mdp) siano così ferocemente contrari, potrebbe creare contraccolpi anche per la tenuta dello stesso governo e, di conseguenza, per la durata della legislatura.
Un’altra buona regola sarebbe che una legge che stabilisce le regole del gioco fosse condivisa dal più largo numero di forze politiche possibile. La realtà è che già sarà difficile trovare il 51% dei deputati disponibili a convergere su un modello, qualunque esso sia, figuriamoci una maggioranza più larga.
In ogni caso sarà un tema che ci porteremo dietro, nella migliore delle ipotesi, almeno per tutta l’estate e quindi ci sarà modo di parlarne di nuovo.

Boschi, Renzi, Etruria e Consip

In settimana si è parlato molto di due casi.
Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, giornalista autorevole e stimato, ha scritto in un libro appena uscito che Maria Elena Boschi, attuale sottosegretario alla presidenza del consiglio, quando era ministro avrebbe parlato con l’allora ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, per chiedergli se la sua banca, una delle più grandi d’Europa, poteva valutare l’acquisto di Banca Etruria, una piccola banca toscana che versava in cattive acque, del cui management faceva parte il padre della Boschi. Secondo quanto scrive De Bortoli, Ghizzoni avrebbe fatto fare uno studio ai suoi uffici, per arrivare poi a decidere di non farne niente.
In questo comportamento non c’è nessun reato, visto che non ci sono state né pressioni né ricatti. Se la cosa fosse confermata (la Boschi ha totalmente smentito) si tratterebbe di un comportamento che si muove sul filo del conflitto d’interessi. E’ normale che esponenti del governo abbiano colloqui con i grandi banchieri e anche che un deputato cerchi soluzioni per problemi del proprio territorio. Ma è opportuno farlo quando ci sono dei familiari coinvolti?
Il Fatto, invece, ha pubblicato un’intercettazione di una telefonata, peraltro contenuta in un libro scritto da un giornalista del Fatto stesso, dove Renzi parla con suo padre a proposito di un’inchiesta che lo riguarda, sulla Consip, e gli intima di dire ai magistrati la verità. Anche qui non c’è nessun reato. Si è discusso molto, in questo caso, anche dell’opportunità e della legittimità di pubblicare un’intercettazione non rilevante per le indagini.
In linea di massima sono state due di quelle faccende nelle quali si sono subito schierate le due opposte tifoserie che hanno cominciato a urlarsi contro. L’impressione complessiva è che si tratta di due vicende che passeranno senza lasciare grosse tracce. Se non quella di dover riflettere una volta di più sul rapporto sempre meno sano del triangolo politica-magistratura-giornalismo.

La Lega Nord sta cambiando pelle

Domani vado a Parma per il congresso della Lega Nord, che non solo confermerà Matteo Salvini come leader del partito, ma sancirà anche una mutazione genetica di quella che è diventata la forza politica più “antica” di tutto il panorama italiano.
Domenica scorsa ci sono state le primarie della Lega che però, più che primarie, sono state un congresso vecchia maniera: ovvero hanno votato solamente gli iscritti. Matteo Salvini ha vinto con un larghissimo margine (oltre l’80%) contro l’assessore della Lombardia Gianni Fava. Il risultato non è per niente sorprendente: in questi casi il segretario uscente è sempre avvantaggiato e poi Salvini ha un’esposizione mediatica nemmeno lontanamente paragonabile a quella del suo avversario che è pressoché sconosciuto.
Salvini e Fava hanno idee di cosa deve essere la Lega Nord parecchio diverse. Salvini vuole costruire e sta costruendo un partito di destra sovranista, simile, cioè a quello che è il Front National in Francia. Fava sosteneva invece l’idea di una Lega più vicina a quella originale, riprendendo temi come il federalismo fiscale e della maggiore autonomia dei territori che Salvini, negli anni della sua leadership, ha completamente abbandonato.
Il congresso di domani sancirà ufficialmente questo cambio di pelle: da un movimento che ha come obiettivo l’autonomia (se non l’indipendenza) del nord Italia a uno che cercherà voti in tutta la penisola puntando su questioni come immigrazione e sicurezza. Si tratta di un mutamento talmente importante che Umberto Bossi, il fondatore della Lega Nord e quello che per anni ne è stato il punto di riferimento indiscusso, starebbe meditando l’addio. A Parma ci sarà anche lui.

L’11 giugno ci sono anche le Comunali

Intanto c’è una data da tenere d’occhio, quella dell’11 giugno quando, in centinaia di Comuni italiani, si vota per eleggere il sindaco e i consigli comunali. Le elezioni avranno poi un secondo turno, il 25 giugno per il ballottaggio, che non è scontato, ma è ovunque molto probabile visto che, in uno scenario tripolare (centrosinistra/centrodestra/M5S) un sindaco può essere eletto al primo turno, superando il 50%, solo se ha un fortissimo consenso personale nella propria città.
Si vota in un migliaio di Comuni e sono coinvolti 10 milioni di elettori. Le città più importanti sono Genova e Palermo, ma saranno da tener d’occhio anche Parma, Padova, Verona Catanzaro e L’Aquila. A livello nazionale per il momento se ne sta parlando pochissimo. E’ sempre complicato considerare le elezioni locali come test nazionali, tuttavia in ognuna di queste città ci sono delle storie interessanti che possono essere rivelatrici di alcune tendenze e delle dinamiche dentro agli schieramenti. Le approfondiamo nelle prossime puntate.

Un po’ di cose interessanti da leggere