23 giugno 2014

Giornalisti: l'accordo sull'equo compenso è una porcheria. Facciamo un patto tra generazioni o non ci leviamo le gambe

L'accordo sull'equo compenso (quello siglato tra la federazione degli editori e il sindacato dei giornalisti che prevede che un lavoro continuo, coordinato e continuativo possa essere pagato 250 euro al mese) è inaccettabile. Inaccettabile per la cifra offensiva che pone, inaccettabile perché si autodefinisce equo, ma inaccettabile, soprattutto, per lo scenario della professione giornalistica che disegna per il futuro prossimo. E la qualità della professione giornalistica (spesso lo diamo per scontato, ma è utile ricordarlo) ha a che fare con la qualità della democrazia.

Ci si potrebbe chiedere come possa un sindacato accettare e sottoscrivere in una trattativa, uno stipendio minimo da 250 euro per la parte più debole della propria categoria, quella cioè che più di ogni altra avrebbe bisogno di essere difesa.

Così a me è venuto un bruttissimo e cattivissimo pensiero, che sicuramente sarà frutto della mia sola perfida fantasia.

Sarà, infatti sicuramente un caso, che questo accordo, dopo che la legge sull'equo compenso esiste, inapplicata, da tempo, arrivi in concomitanza del rinnovo del contratto.

E sarà sicuramente un caso che il vertice della Fnsi abbia delle grossissime preoccupazioni sulla tenuta del consenso dei propri iscritti, che da anni, vedono falcidiate le loro redazioni con prepensionamenti selvaggi e poche gratificazioni per chi rimane.

E sarà sicuramente un caso che uno dei casi più controversi del rinnovo del contratto sia la vicenda della fissa.

(Che diavolo è la fissa?)

La fissa è un istituto di quelli che possiamo tranquillamente includere fra i privilegi di cui godono i giornalisti. E' una specie di liquidazione-bis che viene data ai giornalisti che se ne vanno in pensione. Siccome negli ultimi anni  di giornalisti ne sono andati in pensione moltissimi, il fondo è diventato insostenibile per le aziende e nel contratto la Fieg vorrebbe rivedere fortemente, o meglio ancora smantellare, questo contributo.

Per stessa ammissione del sindacato, è questo il punto su cui è più difficile trovare un accordo. La Fnsi vorrebbe 'salvare' la fissa (sia pure fino a un tetto di 65mila euro e con una rateizzazione di 15 anni) per i giornalisti che hanno maturato almeno 15 anni di anzianità aziendale. Per gli altri i soldi che vengono investiti in questo fondo sarebbero investiti nella previdenza complementare, cosicché le aziende non si troverebbero a dover pagare un salasso quando un loro dipendente va in pensione. Gli editori, ovviamente, non vogliono nemmeno sentirne parlare.

Non vogliono sentirne parlare perché considerando che la stragrande maggioranza degli assunti hanno un'anzianità aziendale superiore ai 15 anni e che molti di loro nei prossimi dieci-quindici anni se ne andranno in pensione il costo che dovrebbero sostenere sarebbe pesantissimo.

D'altronde il sindacato ha come unica possibilità di salvare la propria faccia nei confronti di una platea di iscritti imbufaliti (anche per la scarsa trasparenza con cui è stata condotta questa trattativa) e di non vedersi respingere un eventuale accordo in un referendum (visto che la stragrande maggioranza di quelli che, dentro le redazioni, sarebbero chiamati a votare per un referendum hanno più di 15 anni di anzianità) quella di salvare, in qualche modo la fissa. A tutti i costi.

Ecco, appunto, a tutti i costi.

Quindi sarà sicuramente un caso che l'accordo sull'equo compenso sia arrivato a cavallo della trattativa sul nuovo contratto.

E' chiaro che un contratto con il sangue della parte più debole, più povera e meno difesa della categoria non può essere firmato. Non solo perché non è giusto, ma anche perché è distruttivo per tutto il sistema. Con un pezzo di chi fa questo mestiere che guadagna - sistematicamente, legalmente e istituzionalmente - circa dieci volte meno di un altro pezzo, credo che non ci sia bisogno di spiegare perché.

Da un punto di vista sindacale, qui si rischia di creare un tutti contro tutti che sarebbe deleterio. Mi permetto di dirlo dalla posizione di uno che, per sua fortuna, ha i diritti e i privilegi degli assunti a tempo indeterminato, ma l'età di molti dei colleghi che vedono come prospettiva per i prossimi anni quella di guadagnare 250 euro al mese e che il precario sottopagato lo ha fatto per anni, quindi sa di cosa si parla.

Per questo serve un patto tra generazioni.

Rinunciamo, sul tavolo della trattativa, alla fissa.

Lo so che questa proposta farà incazzare la totalità dei colleghi che hanno almeno dieci anni più di me che su questi soldi magari ci hanno già fatto i conti per trascorrere una pensione più serena o per compensare quelli che perderanno in caso di un prepensionamento.

Ma lo si prenda non solo come un sacrificio personale per garantire un'esistenza più dignitosa ai colleghi più giovani, ma anche come un investimento sul futuro di questo sciagurato e meraviglioso mestiere, per quelli ideali che ognuno di noi aveva, che in qualche caso ha perso in qualche altro no, quando ha cominciato. Un investimento, scusate la retorica, che si fa sulla democrazia in Italia.

In cambio pretendiamo che chi lavora venga pagato in maniera dignitosa, sempre, senza eccezioni. Troviamo insieme i modi, le formule e le condizioni. L'ipotesi di un salario d'ingresso, con tutele inalterate, sia pure con un ricorso regolato e circostanziato ai contratti a termine, ma a stipendio crescente, ad esempio, a me, a differenza di quello che sostengono i coordinamenti dei precari, sembra un compromesso accettabile su cui vale la pena ragionare. D'altronde quante assunzioni sono state fatte in Italia negli ultimi cinque anni?

Quindi manteniamo la calma.

Io voglio continuare a credere che questo mestiere è fatto da persone che non baratteranno l'idea di comprarsi la macchina nuova quando andranno in pensione con la prospettiva di lasciare terra bruciata dietro di loro. Perché questo mestiere non lo facciamo per gli altri, ma perché crediamo che una società più informata sia una società più giusta. O no?

+++AGGIORNAMENTO+++

Stamattina, 24 giugno, è stato firmato il contratto dei giornalisti. Che tiene dentro l'accordo sull'equo compenso (250 euro al mese) e salva la fissa (con un tetto di 65mila euro) per chi ha almeno 15anni di anzianità aziendale. Amen

16 giugno 2014

Ho sognato la diretta streaming

Stanotte ho sognato la diretta streaming.

Da una parte c'erano quelli del Pd, dall'altra la delegazione del Movimento 5 Stelle.

Non avevano l'aria né di prendersi per il culo, né di fare le barricate puntando allo 0-0.

Quelli del Pd proponevano l'Italicum e quelli del M5S stavano a sentire. Poi dicevano loro che sì, a parte qualche boiata di quelle che vengono fuori quando una cosa delicata come una legge elettorale si fa insieme al partito d'opposizione, pensando entrambi a trarne il massimo profitto alle prossime elezioni, tutto sommato è utile garantire una governabilità a chi vince.

Poi anche quelli del M5S illustravano la loro idea di legge elettorale e quelli del Pd li stavano a sentire. Poi dicevano ai cittadini-portavoce che sì, a parte qualche boiata di quelle che vengono fuori quando una cosa delicata come una legge elettorale si fa in modalità wikipedia coinvolgendo paranoici, onanisti e ingegneri nucleari, tutto sommato non è una brutta idea.

Allora quelli del Pd rilanciavano: "ok, cari cittadini della rete, facciamo l'accordo sulla legge elettorale, ma facciamolo anche sulle riforme costituzionali: la Camera approverà in via esclusiva la fiducia, le leggi di bilancio e avrà in mano il pallino del processo legislativo. Il Senato si occuperà, insieme alla Camera, di leggi costituzionali e elettorali, elezione del presidente della Repubblica, diatribe Stato-Regioni ed avrà alcune materie in cui approverà le leggi in seconda lettura".

Gli amici di Beppe Grillo ascoltavano silenziosi, ma un po' perplessi.

"Il Senato - andavano avanti i simpatici delegati Pd - sarà ovviamente elettivo, che quella storia di farci andare i sindaci a tempo perso non lo dicevamo mica sul serio, era solo per placare un po' di quello spirito populista che avete fomentato voi. Ma lasciamo stare, scordiamoci il passato. Magari riduciamo il numero di deputati e senatori, ma non troppo, perché lo sapete anche voi che in Parlamento bisogna che ci sia una rappresentanza sensata e ragionevole dei territori e delle categorie".

"Perché - la buttavano là in una clima di crescenti ammiccamenti i messi del presidente del consiglio - non facciamo insieme una legge elettorale coerente con questo progetto? Voi, o simpatici mattacchioni che non si sa come mai vi siete innamorati del proporzionale, ci concedete una legge elettorale per la Camera chiaramente maggioritaria, in cambio vi buttiamo sul piatto la possibilità di eleggere il Senato in maniera proporzionale. Tutto con le preferenze, niente liste bloccate che, diciamoci la verità, facevano schifo anche a noi".

I portavoce dei cittadini si guardavano intorno perplessi, con un'espressione a metà fra chi fiuta la fregatura e chi spera di aver svoltato.

Nel frattempo quelli del Pd sfoderavano quella sfacciataggine tipica dei venditori di enciclopedie porta a porta: "Vedete, amici pentasperati:  se riusciamo ad approvare queste riforme, poi possiamo andare a votare. E dopo le elezioni, pensate che figata, chi vince fa un governo che può attuare il suo programma in maniera spedita. In compenso non può cambiare le regole, eleggere il presidente della Repubblica e decidere di smontare pezzi di stato senza cercare un accordo con la minoranza, perché il Senato - proporzionale proporzionale - è lì per tutelare tutti. Chi vince comanda. Chi perde è tutelato e può lavorare per vincere la volta dopo".

Nella delegazione dei rappresentanti dei cittadini qualcuno si lasciava scappare un sorrisino.

Poi uno dei duri e puri "Manigoldi! - tuonava - Lo fate solo per ricompattare il vostro partito e per dare la colpa a noi del fatto che volete mandare in esilio Corradino Mineo e Vannino Chiti in un agriturismo della montagna pistoiese!".

Ma i carinissimi vessilliferi piddini non si scomponevano, anzi sghignazzavano: "Beh, sì, quello in effetti era l'obiettivo di riserva… Ma pensate solo a una cosa - rilanciavano melliflui - se accettate questa proposta e approvate insieme a noi le riforme, Berlusconi si trasferisce definitivamente a Cesano Boscone e voi vi accreditate agli occhi degli elettori come una forza responsabile e che non sa solo fare casino. E' questo che vi è mancato per vincere le europee come invece pensavate, no?"

Gli alleati di Farage si dimenavano sulla sedia, qualcuno era contento della proposta e voleva accettare subito, qualcuno scriveva un sms a Casaleggio, qualcuno sparava dei tweet di frustrazione, qualcuno chiedeva la consultazione della rete (eh, lo so, erano tantissimi….), qualcuno voleva mettere la diretta streaming in Costituzione, ma aleggiava un certo ottimismo.

A quel punto mi sono svegliato tutto sudato.

Dovrei stare più leggero a cena.


09 giugno 2014

Alcune cose che Livorno dovrebbe insegnare al Pd

Il risultato di Livorno, dove il centrosinistra per la prima volta ha perso il Comune, insegna alcune cose al Pd, reduce dal trionfo elettorale di appena due settimane fa.

Nella politica bipolare si può vincere e perdere ovunque e comunque. Certo, ci sono luoghi dove le tradizioni, il radicamento, l'impostazione complessiva, dove vincere o perdere è un po' più facile che altrove. Ma perdere Livorno e vincere in zone considerate tradizionalmente di centrodestra, significa che ogni vittoria va conquistata.

A Livorno il Pd è stato autoreferenziale e ottuso. Ha presentato un candidato sbagliato, uscito da una serie di vicende che hanno dato una pessima immagine del Pd, e che dopo essere stato candidato sindaco ha provato immediatamente a prendere le distanze dal sindaco uscente, come se non avesse fatto il segretario del partito e il capogruppo in Regione. Ha rifiutato il dialogo con altri pezzi di centrosinistra e ha spianato la strada al Movimento.

Tutto questo significa soprattutto una cosa: quando il Pd fa il Pd, e cioé incarna (o comunque riesce a trasmettere, che in campagna elettorale sono praticamente la stessa cosa) un messaggio di progresso (vorrei dire di sinistra, ma ultimamente è diventata una parola troppo equivocabile) vince.

Quando rappresenta la conservazione perde.

Lo dimostrano i risultati nazionali degli ultimi anni e lo dimostrano anche quelli dei singoli comuni: Livorno è solo l'ultima dimostrazione.

Si può provare ad applicare questo semplice schema ad ogni elezione, nazionale e locale degli ultimi anni e ci si renderà conto che è (quasi) sempre vero.