29 marzo 2014

I grillini sono d'accordo con Quit the doner e non lo sanno

Beppe Grillo, dal suo ineffabile blog, ha assegnato il prestigioso riconoscimento di giornalista del giorno a Quit the Doner, blogger intelligente e pungente, che con il Movimento 5 Stelle non è mai stato tenero. La messa all'indice, riguarda, in particolare un passaggio da lui scritto su Linkiesta

Il nostro dare per scontato un certo grado di libertà non ci permette di vedere un fenomeno come il movimento 5 stelle per quello che è realmente: qualcosa di pericoloso per la democrazia e per la libertà di stampa. Seriamente pericoloso.
Il movimento di Grillo si autocelebra come portatore della verità rivelata e assoluta, espressione unica e univoca della volontà popolare, in opposizione a un magma indistinto di affaristi, corrotti uniti dalla volontà di nascondere la suddetta verità per i propri sordidi scopi personali a cui gli elettori possono credere solo nella misura in cui non capiscono. La visione rientra nella più classica delle strutture complottiste-paranoiche, secondo le quali chi “non è con noi” non solo “è contro di noi” ma è anche in malafede e al soldo di qualcun altro. La politica per i cinquestelle non è rappresentanza d’interessi compositi, ma si configura come la dialettica di illuminati vs resto del mondo. La struttura delle sette, degli estremisti religiosi e dei sistemi totalitari.

Con una posizione del genere, ovviamente, si può essere o meno d'accordo.

Se non lo si è, bisognerebbe essere in grado di spiegare perché si ritiene che sia una posizione falsa

Quit the Doner della mia solidarietà per l'odiosa pratica di mettere dei giornalisti all'indice non se ne fa di niente.

Probabilmente sarà più interessato alla implicita e inconsapevole solidarietà dei grillini che, sul blog di Beppe, contestano la sua tesi, con l'abituale periodare colorito, con argomenti che, di fatto, gli danno ragione.

Ecco un'antologia dei commenti

Ammesso che sia giornalista, segnaliamolo all'ordine (affinché non lo aboliamo è li). Poi, seguiamo la ns strada perché più questi coglioni parlano male di noi e più la gente è con noi. Non l'hanno capito e non diciamoglielo

 chi è sto rincoglionito che scrive queste cose?? perchè non ci mette la fima? la faccia?? comunque, ormai si sono accorti di essere cadaveri che camminano, possono solo rimandare le elezioni, ma prima o poi ci andremo a votare!!!!!

Scusate, ma in 56 anni NON ho MAI, dico MAI sentito nemmeno parlare di un giornaletto come LINKIESTA! E poi LINKIESTA DI COSA? Delle BUFFONATE??? Quanti nostri soldi si beccano per scrivere CONTRO il 20-25% degli Italiani che lo pagano "a loro insaputa".Per me possono chiudere ieri sera i battenti che non mi importa assolutamente niente! O è anticostituzionale? Oppure il finanziamento che vi prendere è DEMOCRATICO e COSTITUZIONALE??? Andate a quel paese distruttori dell'onestà!!! 

sperava che lo pubblicassimo sul blog, almeno qualcuno lo legge, solo che nessuno gli crede qui e non perchè pensiamo di essere nel giusto, ma perchè siamo super-sicuri di essere gli unici ad esserlo ahahahh

Questo pseudo-magaricicredediesserlo-giornalista, come riesce a guardarsi allo specchio tutte le mattine? Secondo me lo evita. Come fa incrociare lo sguardo della gente che sa' esattamente come lui tutte le fregnaccie che si racconta da solo? Vergogna e stupratore del nostro splendido intelletto.

Ma vergognati infame....nemmeno di fronte a tanta gente per bene che si suicida riesci ad esprimere un opinione a favore dei cittadini...leccaculoooo sei il nulla, quando toglieremo i finanziamenti ai giornali ne vedremo delle belle 
...Quit...ma perché non lasci stare ? Ma dove vivi ? Chissà chi ti paga ? Non certo il popolo !

Dietro ci sono solo interessi finanziari, è sotto gli occhi di tutti. Questo qui, o è un cretino, o è pagato dalle lobby e dai partiti affiliati alle lobby. Non sono un complottista ne un paranoico ne penso che i 5s detengano lo scettro della verità assoluta. La questione è semplice vogliono arraffare a più non posso sono dei ladri a cui si aggiunge una certa imbecillità politica.
Illuminati contro il resto del mondo. Più chiaro di così....

28 marzo 2014

La frase più significativa della visita di Obama in Italia

Ora che Obama è ripartito, ho deciso qual è, secondo me, la cosa più importante che ha detto durante la sua permanenza a Roma.

Quando al Colosseo ha incontrato Dario Franceschini, il presidente gli avrebbe detto: "Che bello! Fare il ministro della cultura e del turismo in Italia dev'essere il mestiere più bello del mondo!!!" (con tre punti esclamativi.

"Machedavvero?"


Obama ha detto una cosa talmente ovvia che per anni ce ne siamo dimenticati.

Quando Tremonti diceva che con la cultura non si mangia in tanti hanno fatto gli offesi, ma sotto sotto pensavano che avesse ragione lui.

Perché in Italia, è inutile far finta, c'è un pregiudizio anti-culturale radicatissimo, che nel migliore dei casi etichetta i soldi spesi in cultura come "spreco di denari pubblici".

Come se prendersi cura della bellezza non fosse uno dei compiti principali dello stato.

Come se la bellezza non avesse a che fare con tutta la nostra economia.

Io proverei ad accettare il consiglio: a considerare cioè il ministero della cultura e del turismo (indipendentemente da chi lo occupa) come quello più importante di tutta l'attività di governo: più dell'economia, più del lavoro, più dello sviluppo economico. E poi vedere l'effetto che fa.


27 marzo 2014

Contenti che non vi faranno più la multa sulle strisce blu?

La paradossale vicenda delle multe sulle strisce blu ha riportato a galla in maniera plastica una tendenza italianissima: le regole non contano mai in sé, ma solo come un qualcosa da temere in virtù di una sanzione.

Se la sanzione si può evitare, ridurre o contenere il senso della regola non è mai un ostacolo etico per evaderla.

Se una regola non ci piace o la riteniamo palesemente ingiusta (generalmente le regole servono per difendere i più deboli, ma visto che sono fatte dagli uomini ce ne sono di palesemente ingiuste) non ci preoccupiamo mai di impegnarci per cambiarla, ma solo di trovare il modo per aggirarla.

Avere assicurata l'impunità per la violazione, benché parziale, di una regola come quella che si deve pagare per parcheggiare dentro le strisce blu è una piccola prevaricazione. Perché siamo fatti così: preferiamo un piccolo, magari inatteso, privilegio personale rispetto ad un ordine complessivo che ci impone dei doveri, ma ci assicura dei diritti. E in tanti, quanto hanno saputo che sulle strisce blu non si rischiavano le multe, sono stati molto soddisfatti.

19 marzo 2014

Ecco perché sulle Province sta per scoppiare un casino tremendo

"Le Province sono enti inutili, da abolire".

Questa affermazione è diventata, negli ultimi anni, una sorta di mantra della politica italiana sulla quale sembravano tutti d'accordo. Non senza tutta una serie di ragioni valide e logiche: aumentare i centri di potere sul territorio spesso complica le cose e crea tutta una serie di ostacoli burocratici di cui si potrebbe fare a meno. Senza contare il risparmio, più simbolico che risolutivo, degli stipendi di presidenti e assessori.

Ma si tratta di un tema scivolosissimo, sia dal punto di vista pratico sia da quello psicologico, tanto che gli ultimi due governi su questo aspetto ci si sono fatti male.

Oltre agli ovvi motivi di gestione del potere territoriale (tema troppo spesso sottovalutato nelle dinamiche che portano a scelte politiche nazionali) c'è da tener conto di un altro aspetto: se la Provincia (intesa come ente) è considerata poco utile, la provincia (intesa come definizione territoriale) è l'ambito più reale che ci sia nel nostro paese: la storia italiana è tutta fondata sul rapporto fra la città e il suo "contado" e non è un caso se moltissime organizzazioni della società civile (partiti, sindacati, associazioni di categoria) sono fondate proprio su scala provinciale.

Il ddl Delrio pareva aver trovato un buon compromesso: le Province rimangono (anche per non creare vuoti normativi o indigeribili accrocchi geografici) ma decadono i loro organi. Diventano cioè enti di secondo livello, una sorta di associazione dei Comuni governata dai sindaci, ai quale decidere, d'intesa con le Regioni, quali servizi delegare.

Dopo l'approvazione alla Camera, il ddl è impantanato al Senato, dove è ingarbugliato con la legge elettorale, bloccato da una serie di veti incrociati, ostruzionismi e opposizioni più o meno latenti.

Il casino scoppierà perché il tempo stringe.

Entro i primissimi giorni di aprile (la legge parla di 55 giorni) il ministero dell'Interno dovrà convocare le elezioni amministrative, che saranno il 25 maggio, insieme alle Europee. Vanno al voto 4mila Comuni e, se il ddl non sarà approvato in tempo, anche una cinquantina di Province, alle quali, teoricamente, se ne aggiungerebbero un'altra ventina che sono state commissariate negli anni scorsi.

Se, nei prossimi dieci giorni, il Parlamento non approverà il ddl (che quasi inevitabilmente dovrà poi tornare alla Camera per le inevitabili modifiche) il ministero dell'Interno sarebbe teoricamente tenuto a convocare le elezioni anche per le Province.

In realtà sul tema c'è dibattito: la legge di stabilità, infatti, prevede, come successo l'anno scorso, che in attesa di una formale abolizione delle Province dalla Costituzione, le Province che vanno a scadenza siano commissariate. Tuttavia molti Tar hanno già dichiarato illegittimo il commissariamento e alcune Regioni hanno annunciato di ricorrere alla Corte Costituzionale. Il governo e il ministero dell'Interno (guidato dal leader di un partito, il Nuovo Centrodestra, che non è fra i principali fan del ddl Delrio) potrebbero essere, insomma, in imbarazzo a varare un decreto di commissariamento che riguarda circa tre quarti delle Province italiane. Ma ancora più in imbarazzo ad indire un'elezione per enti con una ravvicinatissima data di scadenza.

Se venissero indette le elezioni, insomma, in moltissime contrade d'Italia i partiti saranno costretti a cercare persone disposte a candidarsi ed impegnarsi in una campagna elettorale per una carica che potrebbe durare un anno o anche meno. E convincere i propri elettori a votarli per una cosa che, molto probabilmente, servirà a poco.

Completa il quadretto un'incertezza complessiva che riguarda i Comuni che vanno al voto: dai più grandi (il percorso delle città metropolitane sarà rimandato un'altra volta) ai più piccoli. Quelli sotto i tremila abitanti, a due mesi dalle elezioni, non sanno se avranno un consiglio composto da sei (come dice la legge attuale) o da dieci componenti (come prevede un emendamento al ddl). Quelli sotto i mille abitanti non sanno se avranno o meno la giunta.

Dulcis in fundo, visto che il ddl Delrio è legato a doppio filo all'approvazione della legge elettorale ed alle riforme istituzionali, temi su cui non solo il Governo si è impegnato a tal punto da metterci in palio la propria faccia, ma su cui si fondano anche le alleanze con la maggioranza per l'esecutivo e quella con Forza Italia per le riforme, ecco perché il pericolo più grosso per il Governo, al momento, sembra arrivare ancora una volta dalle innocue, inutili e bistrattate Province.

16 marzo 2014

E' Beppe Maniglia il problema di Bologna? Sì, in un certo senso

Nella assurda discussione seguita alla multa fatta dai vigili urbani di Bologna a Beppe Maniglia è emersa spesso, soprattutto fra i suoi fan, una domanda ricorrente: con tutti i problemi che ci sono a Bologna bisogna proprio prendersela con lui? E' Beppe Maniglia il problema di Bologna? La mia risposta è sì, in un certo senso.

(Breve spiegazione per i non bolognesi): Beppe Maniglia è un bizzarro signore di 71 anni che ha avuto una certa notorietà televisiva in passato quando gonfiava le borse dell'acqua calda fino a farle scoppiare. Da 35 anni si esibisce nei fine settimana in piazza Maggiore, suonando la chitarra con un sound system da 10mila watt montato sulla sua Harley Davidson.

Beppe Maniglia, ovviamente, non è un problema della città. Ma chi lo considera un simbolo di Bologna sì.

C'è stata una certa indignazione per questa multa, dovuta soprattutto al fatto che la sua smodata amplificazione, soprattutto nei giorni in cui le vie centrali di Bologna sono pedonalizzate, di fatto impedisce a qualunque altro musicista di strada nel raggio di 500 metri di suonare. Le regole, quando sono giuste, servono per difendere i più deboli, quella di Beppe Maniglia è una prepotenza che l'autorità pubblica ha il dovere di sanzionare.

Se io andassi in una via del centro con un'amplificazione di quel tipo, mi porterebbero via dopo 5 minuti. Non è solo una questione di disturbo alla quiete pubblica: e lo dice uno che sul disturbo alla quiete pubblica con la musica ha anche una certa esperienza personale.

Ma c'è stata soprattutto una sollevazione di persone che hanno detto: nessuno tocchi Beppe Maniglia, che è un simbolo della città (in linea di massima sono gli stessi che non vogliono che d'estate si facciano i concerti all'aperto). Sono le persone che per abitudine, per pigrizia o per paura, si sono convinte che Beppe Maniglia sia un grande musicista e gli altri busker che popolano la piazza nei fine settimana degli sfigati drogati.

In realtà ogni altro musicista di strada che suona in centro a Bologna è molto più bravo ed interessante di Beppe Maniglia, che suona una chitarra elettrica, sopra orrende basi preregistrate. E il fatto che centinaia di persone si fermino ad ascoltarlo a me pare già un primo problema da risolvere: una città che si fregia del titolo di 'Creativa della musica dell'Unesco', dove Abbado ha fatto nascere l'orchestra Mozart, dove sono passati Dalla, Guccini e tanti altri è un segnale inquietante sulla cultura musicale della gente.

Ma non voglio fare lo snob: il bello della musica di strada è proprio la patchanka: tanti generi, tanti stili, qualcuno più bravo, qualcuno meno. C'è posto per tutti: a patto, però, che nessuno usi la sua prepotenza di decibel per sovrastrare e non far suonare gli altri.

Quindi, diciamolo una volta per tutte, Beppe Maniglia non è e non deve essere un simbolo di Bologna. E' soltanto un simbolo di prepotenza, arroganza, sciatteria e cattiva musica. Tutto quello, ovvero, che Bologna non deve essere nell'immagine che deve dare ai suoi cittadini e a chi arriva da fuori.

Detto questo sulle strade di Bologna deve esserci posto anche per Beppe Maniglia. Così i nostalgici della inesistente 'Bologna che fu' potranno ascoltarlo. Ma alle stese condizioni degli altri, così, magari, quegli stessi nostalgici, non più rincoglioniti dai decibel e dai pregiudizi, potranno anche rendersi conto che a 50 metri ci sono tre ragazzini che fanno musica infinitamente migliore.

A quel punto, se qualcuno vorrà cacciare Beppe Maniglia (come qualunque altro musicista di strada) io andrò ad incatenarmi con lui, per difendere il suo spazio in cui fare la sua pessima musica.

13 marzo 2014

Furti di macchinine. Succede a Pistoia: se non ci siete mai stati andateci

C'è una piccola città, che non ama far parlare di sé, dove ogni tanto succedono cose bizzarre, ma piuttosto esemplificative: è Pistoia, se non ci siete mai stati andateci, vi sorprenderà.

Succede che l'ex sindaco, Renzo Berti, vada al supermercato con la famiglia. Il figlio vuole che il babbo gli compri una confezione di macchine (9 euro). Il babbo non vuole, perché non è che ai bambini si possano sempre dare tutte vinte. Il piccolo, facendo il suo dovere di bambino, pianta un capriccio e cerca un sistema per fregarlo. Apre la confezione di macchinine e ne infila una nella tasca del babbo. Lui non se ne accorge, gli addetti alla sicurezza del supermercato sì.

Quando va alla cassa gli fanno notare che nella tasca della giacca ha una macchina "rubata". Con l'imbarazzo di un genitore di un bambino che ha appena fatto una marachella in un luogo pubblico, si scusa mille volte e paga l'intera confezione di macchine. Il supermercato, ovviamente, non denuncia il fatto alle autorità, anche perché non ha avuto un danno, visto che il giocattolo è stato regolarmente pagato.

Succede che un blog scrive della faccenda (senza fare il nome del protagonista) e succede che per la procura di Pistoia si tratti di una 'notizia criminis' di tale importanza da rendersi necessaria un'inchiesta ed un'incriminazione di ufficio per furto aggravato (reato perseguibile anche senza querela da parte del danneggiato).

Un fatto piccolo, che però spiega abbastanza bene come funziona la giustizia italiana.

Verranno spesi centinaia, forse migliaia di euro di denaro pubblico, fra notifiche, udienze, tempo impiegato da parte dei funzionari statali per perseguire un reato che le stesse vittime ritengono di non aver subito.

E forse qualcuno, probabilmente, dovrebbe spiegare che in una città talmente tranquilla dove non succede mai niente non c'erano casi più importanti ai quali dedicare tempo e risorse pubbliche.

11 marzo 2014

Renzi ricompensa gli elettori del Pd

Con l'annunciato taglio dell'Irpef per andare ad alleggerire il cuneo fiscale, Matteo Renzi ha annunciato di fare una cosa che il centrosinistra italiano, nelle sue esperienze di governo, praticamente non ha mai fatto: premiare i suoi elettori.




Il taglio dell'Irpef, secondo lo schema che è stato anticipato (poi, ovviamente, saranno da vedere ed analizzare con attenzione regole, modalità e, soprattutto, coperture) segna però un primo dato di fatto molto interessante. Il taglio, per come è stato concepito, andrebbe infatti a beneficio di chi ha una busta paga (e quindi un lavoratore dipendente) inferiore ai 1.500-1.600 euro. Sono tagliati fuori i pensionati, i commercianti, gli artigiani e i lavoratori cosiddetti atipici. Oltre che i lavoratori dipendenti più facoltosi e quelli che guadagnano talmente poco da non pagare, di fatto, l'Irpef.

Si tratta, in sostanza, di un atto assunto nell'interesse della constituency del Partito Democratico: impiegati, operai, insegnanti, dipendenti pubblici, ovvero quella larga fetta di Italia che non si trova in una condizione di povertà, ma che negli ultimi anni ha visto deteriorarsi la propria situazione economica: se dieci anni fa facevano parte della medio-piccola borghesia adesso sono, spesso, poco sopra il livello di povertà. Che non possono beneficiare di rendite particolari e che non hanno mai (anche perché non ne avevano possibilità) attinto all'integrazione dell'elusione fiscale.

Un blocco sociale che, in larga maggioranza, in questi ultimi anni si è affidata al Partito Democratico. Ma che potrebbe, in un futuro non lontano, non farlo più se non vedesse un segnale concreto da parte della forza politica che ha votato negli ultimi anni.


05 marzo 2014

Putin, Vecchioni, Trapattoni e il nobel: ecco perché non è una cosa seria

La candidatura di Putin al nobel per la pace è una roba simile alla candidatura di Vecchioni (con tutto il rispetto per Vecchioni).

Ci sono migliaia di persone (compresi tutti i parlamentari di tutte le nazioni) che possono candidare qualcuno al nobel per la pace. Fino ad ora gli amici scandinavi le tenevano segrete, però poi succedeva che qualcuno comunicava la candidatura che aveva avanzato e quindi le voci impazzivano incontrollabili.

L'operazione trasparenza, però, ha pro e contro.

Quindi non è vero che il nobel ha candidato Putin. E' vero che, probabilmente, qualche parlamentare russo, cortigiano del nostro, abbia improvvidamente fatto il nome di Putin, come avrebbe potuto fare il nome di chiunque altro.

Un po', insomma, come quei parlamentari che al primo scrutinio per l'elezione del presidente della Repubblica votano per Giovanni Trapattoni.

Quando daranno il nobel per la pace a Putin andiamo tutti insieme ad incatenarci a Oslo. Fino ad allora ridiamoci sopra che è meglio.