28 settembre 2014

Bologna, il grande spettacolo di una domenica mattina in Piazza Maggiore

Bologna, domenica 28 settembre, mezzogiorno.

Sei un turista straniero e, grazie a un volo della Ryanair a prezzi stracciati, hai deciso di farti un week end a Bologna, una città di cui hai sentito parlare perché dicono che sia culturalmente vivace, con molte cose interessanti e dove si mangia benissimo.

Hai fatto un giro per il centro, accarezzato da un sole caldo, ma non aggressivo di inizio autunno, sotto un cielo di un azzurro terso e sincero che valorizza e fa splendere quelle meravigliose tonalità di rosso con le quali secoli di gusto architettonico hanno colorato la città.

A mezzogiorno arrivi in piazza Maggiore, magari per un aperitivo, prima di andarti a mangiare i tanto famosi tortellini o le tanto celebrate lasagne.

Di fronte all'ingresso di un palazzo molto bello ed importante, che supponi essere il Comune, c'è un po' di casino. Un gruppo di giovani attivisti ha circondato, con megafoni e striscioni un gazebo con alcune bandiere, il tutto sotto lo sguardo di una decina di poliziotti. Capisci che sia qualcosa che ha che fare con la politica,  d'altronde gli italiani sono uno dei pochi popoli europei che ancora si appassiona alla politica e per questo li hai sempre un po' invidiati.

All'improvviso arriva, correndo e suonando trombe e tromboni, un gruppo di vecchietti. Qualcuno ha una divisa militare, qualcuno no, ma tutti hanno in testa un buffo cappello con delle piume. Suonano e corrono schivando biciclette e passeggini, corrono e suonano sfiorando il banchetto dove quelle altre buffe persone stanno continuando a litigare.

Quindi i vecchietti music-runner si spostano qualche metro avanti per suonare in santa pace, sotto le insegne di una fiera di abiti da sposa. Ma non possono farlo nemmeno lì, perché dall'altra parte della strada c'è un altro vecchietto, in canottiera, che tiene una chitarra a tracolla senza suonarla e spara a tutto volume delle bruttissime basi pre-registrate.

Allora si spostano più avanti, di fronte alla meravigliosa basilica che domina la piazza, di fronte alla quale è montato un palco che sembra a tutti gli effetti quello di un concerto rock, ma che porta l'effige della statua di un santo che benedice, paziente, quella bizzarra e affascinante accozzaglia di persone.

Di fronte al Comune quei tipi che non capisci bene che diavolo di problema politico abbiano, sono costretti a spostarsi perché stanno uscendo due sposi, seguiti da un corteo di parenti. Sono tutti, allo stesso tempo, rumorosi ed eleganti, raffinati e casinisti: solo gli italiani sanno esserlo.

E tu che sei un turista straniero che ha imparato ad amare l'Italia grazie anche ai film di Federico Fellini, sei immerso in uno sgangherato, soleggiato e spettacolare sogno barocco e non puoi fare a meno di innamorarti perdutamente e irrimediabilmente di questo posto.

Nessuna organizzazione culturale della città, e sì che a Bologna ce ne sono di validissime, avrebbe potuto allestire una pièce di questo livello, per giunta senza spendere un euro.

Perché a mettere d'accordo e ad organizzare in una perfetta e gioiosa armonia la Lega Nord, i centri sociali, la fanfara dei bersaglieri, Forza Italia, Beppe Maniglia, alcune coppie di sposi, l'Usb, turisti, commercianti, Curia, passanti e polizia poteva riuscirci solo quello spettacolare ritrovo di zingari, signori, mendicanti, politici, studiosi, bottegai, preti, puttane e musicisti che da secoli è Piazza Maggiore.

23 settembre 2014

Non dovete farne una questione generazionale, dicono

Non dovete farne una questione generazionale, dicono.

Il mio sindacato (Fnsi) venerdì e sabato mi chiede di votare per un contratto con il quale ha svenduto il futuro dei precari per tutelare le buonuscite di chi ha più 15 anni di anzianità. Ma mi dice anche che se non si raggiunge il 50% dei votanti (cosa praticamente impossibile, in tutta l'Emilia-Romagna c'è un unico seggio) non solo i risultati non saranno ritenuti validi, ma le urne non saranno nemmeno aperte.

Ma non dovete farne una questione generazionale, dicono

Il governo sta mettendo mano ad una riforma del lavoro. C'è gente in giro, spesso laureata e masterizzata, che lavora 12 ore al giorno per 600 euro, che è stata costretta ad aprire la partita iva per fare un lavoro da dipendente, che non ha la malattia, non ha la maternità, spesso non ha nemmeno un contratto. E tutto il dibattito si fonda sull'articolo 18.

Fra le persone che conosco, fra i 25 e i 40 anni, quelli che nel caso possono godere del tutele dell'articolo 18 sono un 10-20% (me compreso, per onestà).
Ma non dovete farne una questione generazionale, dicono.

L'articolo 18 in Italia è stato abolito da anni per una larga fetta della popolazione, senza che quei sindacati che oggi fanno tanto chiasso abbiano mosso un dito. I Co.co.co, le finte partite Iva, i lavoratori a termine, quelli delle piccole aziende, possono essere già essere licenziati, dall'oggi al domani, senza la minima tutela. Questa situazione di profonda ingiustizia si è venuta a creare mentre i sindacati e i partiti di sinistra sbraitavano per difendere l'articolo 18.

A me hanno insegnato che la sinistra, se vuole essere tale, deve difendere soprattutto i più deboli. Oggi in Italia i più deboli non sono quelli che godono dell'articolo 18.

Se difendere l'articolo 18 (una conquista fondamentale per garantire all'Italia uno sviluppo più giusto) significa evitare che i lavoratori vengano discriminati bene, ma se vuol dire lasciare tutti gli 'sfigati' nella loro attuale situazione perché è più comodo così, a me non interessa.

Ok, non ne facciamo una questione generazionale. Ma a me, ultimamente quando sento parlare di diritti acquisiti, viene da mettere mano al passaporto.

03 settembre 2014

Appello agli elettori del Pd: non votate quelli che cercano di entrare per forza nelle inquadrature delle tv

A Bologna è in pieno corso di svolgimento la Festa nazionale dell'Unità. Forse l'evento politico più bello e significativo che è rimasto nel nostro paese: perché è quello che intende la politica in maniera più popolare, nel senso più bello della parola popolare: la musica, le chiacchiere, il buon cibo, discussioni sul futuro del paese, sulla cultura alta e sulle facezie. Tutto insieme, in un unico luogo. Ed è bello che un partito si senta in dovere di organizzare una cosa di questo tipo.

C'è però un malcostume, che non esiste solo nel Pd, ma che alla festa dell'Unità trova una rappresentazione plastica. Alla festa nazionale dell'Unità c'è una sfilata di big della politica nazionale: ministri, dirigenti di partito, sindaci, presidenti di Regione, personaggi più o meno noti che, al loro arrivo, vengono accerchiati dalle mischie di giornalisti ed operatori che vogliono ascoltare quello che hanno da dire e fare loro delle domande. Le cui risposte il cittadino/elettore/telespettatore leggerà sui giornali e sui siti di informazioni e vedrà in tv.

E' tentazione incontrollabile per i politici locali (nella loro legittima ricerca del consenso, in vista di scadenze elettorali vicine o lontane) di prodursi in un attento e laborioso balletto di posizionamento, simile a quello che usano i ciclisti negli ultimi chilometri di una tappa che precedono una volata, per piazzarsi alle spalle del big politico di turno per far sì di trovarsi alle spalle  del suddetto big, con un espressione compunta ed assertiva, quando si accenderanno le telecamere o scatteranno i clic dei fotografi.

Agli elettori che, legittimamente, decideranno di votare il Pd, lancio questo appello: prendete in considerazione, nell'atto dell'espressione di una preferenza, quei politici che proprio mai, nemmeno per sbaglio, hanno cercato di entrare di sbieco in queste patetiche inquadrature.

Il mio appello non è solo una questione di interesse professionale: certo quelle mischie delle quali il cittadino/elettore/telespettatore vede in tv solo una piccola parte, sono un luogo che può essere anche un po' pericoloso per chi le frequenta: ci si spinge, ci si strattona, si rischia di prendere una telecamera in testa e quindi meno gente c'è in mezzo meglio è per tutti (compreso il CET che vedrà in tv un'immagine migliore). Quelle mischie durano, in genere, pochi minuti: quindi un politico locale ha tutto il tempo che vuole per scambiare due chiacchiere o fare quello che vuole con il politico di turno.

Il mio appello ha anche una ragione più nettamente politica. Io, non nella mia veste di giornalista, ma in quella di CET, vorrei votare, come mio rappresentante nelle istituzioni locali, un politico che si guadagna il mio voto con iniziative e posizioni condivisibili e non solamente perché l'ho visto appollaiato dietro il big di passaggio.

Vorrei votare, insomma, qualcuno che ha la personalità, il coraggio e le idee di guadagnarsi da solo uno spazio mediatico perché quello che che fa e quello che dice è interessante e non perché cerca di lucrare pateticamente qualche preferenza cercando di essere illuminato da una qualche luce riflessa. Che si trova lì, insomma, solo perché il CET lo veda in un tg o sulla fotogallery di qualche sito.

Vorrei votare uno che magari impiega quel tempo che serve per posizionarsi abilmente alle spalle di un ministro o di un leader politico per fare qualcosa di più utile per se stesso, per la comunità e per i CET stessi: parlare con le persone, risolvere un piccolo problema, organizzare un'iniziativa.

Poi, se è bravo, in tv o sui giornali ci va per i propri meriti, inquadrato bene e non di sbieco.